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Il Castigo Esemplare

niente. niente chiacchiere inutili. niente presentazioni di ogni sorta. niente. solo musica, noise e pura voglia di sperimentare. E qua, il termine "sperimentare" ci sta tutto. Quattro componenti, ognuno porta con sè un bagaglio musicale per niente banale, saltando senza pensarci due volte da John Zorn ai Fantomas, dai Mr.Bungle ai Primus, dai Sonic Youth ai Ruins, da Morricone a Sanders e Garbarek..riassumendo poi il tutto in "Pulp Music". Niente. Niente chiacchiere inutili, una sola session di 40 minuti, tagliata in nove piccoli (mica tanto..) pezzetti per renderla più potabile. Uno sguardo comune a Frank Zappa e l'album scivola, frastagliato come un lavoro che sa tanto di progressive inzuppato all'interno di un pò di art rock e un pò di jazz. Questo lavoro è un colpo dritto allo stomaco, dato dall'omino della figura in alto, sferrato con il pugno della pistola. non fa male, ma lascia il segno. ti fa pensare, pensare a come è bello sperimentare sapendo che pochi ti capiranno. Vi piace l'idea? L'album è finito.

Lakrima667 (Acidi Viola)

Il Castigo Esemplare

C’è un po’ di onomatopea nella musica del quartetto romano; post jazz noise rock che, per via del sax di Gabriele Mengoli, ci ricorda il primo Thin Huey in versione strumental incupita. Trattasi di un’unica session che è stata suddivisa in nove tracce per facilitarne l’ascolto. Ricco di citazioni – Zorn qui, Blurt là, progressive di sopra, Zappa di sotto, post rock a destra (traccia #7) e Zu a sinistra-offre segmenti sperimentali quasi free alla Krayola. Disco potente, energetico, stimolante ed erogeno al naturale. (7) e più.

Dionisio Capuano (Blow Up n.96)

Il Castigo Esemplare
Un concentrato di energia e creatività per la nuova band romana
Una ventata d'aria fresca. Difficile definire in altro modo i Thrangh, un gruppo già maturo per un disco ufficiale che nel demo d'esordio sprigiona un'energia e una frenesia davvero eccitanti. Prendete Mr. Bungle e King Crimson, Area, Primus e John Zorn, miscelate per bene dopo aver bevuto abbondante tequila: ecco a voi "Il castigo esemplare"!
Trattasi di un demo costituito da un unico brano diviso in nove tracce, che scorre fluido per quanto spigoloso, isterico e imbizzarrito sia il sound del quartetto. Come se fossero gli Anatrofobia più educati - o dei Deadburger più maleducati - i Thrangh entrano di diritto in quella scarna enclave di gruppi (i due già menzionati, poi Memoria Zero, Zu, A Spirale, Snakioplatz) che fanno un prog inconsapevole mescolando art rock, jazz, hard core e psichedelia con abilità e disinvoltura. Perchè di spirito progressivo si tratta, quello che non prepara la suite a tavolino ma fa progressione vera, sparpagliando ritmi ed armonie, spezzettando il suono e ricostruendolo sotto forma di funk incalzante, di lunatica psichedelia, di free jazz urlante.
Chitarre taglienti e incisive, fiati che scappano via dappertutto, una solida base ritmica che permette di cavalcare a passo serrato: questo il leit-motiv del Thrangh-sound. Un'aggressione in piena regola. Ma non selvaggia bensì meditata ed efficace. Seguendo la traccia lasciata anche da Tuxedomoon, Wire, Akineton Retard e Fantomas, i romani sfoderano un sound internazionale, poco italiano. Se riuscissero a renderlo ancora più personale sarebbe perfetto. Da non sottovalutare la possibilità di scaricarlo gratis dal sito ufficiale. Eccellenti e sfrontati, i Thrangh arrivano proprio al momento giusto. Per le nostre orecchie distratte e per la nostra decadente curiosità, questo è il castigo esemplare.

Donato Zoppo (Movimenti Prog)

Questa è musica... mica cazzi!
Alpheus (Questa è Roma mica...vol.3) 18/12/2005

In una scaletta che prevede principalmente gruppi hardcore e deviazioni limitrofe, i Thrangh sono il break necessario per decomprimere le pulsazioni cardiache. Questa recensione non vuole essere un dettagliato resoconto tecnico (non ci interessa), neanche la stucchevole lista di ogni brano presentato (pratica giornalistica vetusta e con non interessa più a un cazzo di nessuno) ma solo l'esaltazione convinta di un quartetto che dopo un anno di vita (ora in più ora in meno) ha raggiunto la propria fifth dimension. Quante volte nel linguaggio musicale avete trovato la similitudine di una band con un "treno"?. Quel gruppo tira come un treno. E' un suono diretto come un treno... e bla bla bla. Io credo centinaia di volte. Aspettate perchè io sarò il 101esimo. Ma sono i Thrangh a decodificare il loro suono e a paragonarlo ad un convoglio su rotaie. Lo fanno in modo naturale quando iniziano la trance. Seppur solo con un quarto d'ora a disposizione (ma chi lo ha detto che la distanza breve non sia la vera anima dei quattro?) riescono in maniera magistrale a compiere il proprio viaggio che terminerà - come sempre - con l'urlo primordiale del chitarrista Jimbo. Il treno parte. Con lentezza. Rumori metallici sempre più intensi. Prende velocità per raggiungere il suo unico scopo: arrivare a destinazione. Non può avere ostacoli. L'avanguardia nella quale sguazzano i nostri è puro liquido amniotico. Il treno rallenta. Ecco le curve. Sbuffa e sferraglia. Siamo cullati dal movimento. Non c'è scampo. Non si scende. Il buio della galleria è paradossalmente una luce. In fondo c'è quel puntino bianco. Il viaggio è finito. I Thrangh fanno scendere i passeggeri. Applausi convinti. Basta cazzate è il fischio alla stazione centrale. Che siano amici non ce ne frega un cazzo. Ci interessa farVI sapere che questi ragazzi sono grandi. Speriamo che qualcuno raccolga l'eco del loro talento. Che il castigo sia con voi.

Emanuele Tamagnini (Nerds Attack!)

L'Eleganza dei Castigatori
Un sommovimento nel panorama musicale capitolino e nel transgender sonico. Che sia jazz, noise o post-core, resta un Castigo Esemplare
Nha Trangh è lontana, lontanissima. E' la città vietnamita da cui i Thrangh, quartetto romano (chitarra-basso-sax-batteria) prendono il nome. Eppure la pronuncia rimanda a un contatto ravvicinato, a uno scontro fragoroso. Forse i Thrangh nascono dalla commistione tra aneliti preziosamente astratti e l'urgenza di una comunicazione diretta, semplice, carnale.
L'attività concertistica concentrata negli ultimi sei mesi e questo demo, presentato da un'artwork stilizzato e sanguigno, rivelano la raggiante violenza e il rigore di nove pezzi senza nome. Non c'è nominalità, programma, o ideologia in queste istanze sincopate, succose, solo a tratti distese e mai realmente melodiche. Il sassofono motteggia, graffia e sospira su eterni vortici chitarristici, il basso approfondisce una gioiosa cupezza e la batteria completa il quadro nella sua costante tensione estetica.
Quella dei Thrangh è una ricerca che trae la sua forza dal dichiarato non professionismo dei suoi componenti, che si approssimano alla costruzione armonica inseguendo il "diletto" nobilmente inteso, eppure catturano le orecchie e i sensi di una larga utenza: colpiti dall'incandescenza del primo ascolto, gli ascoltatori potranno giocare a scovare le più disparate influenze (molte dichiarate), a coltivare il ricordo della psichedelia, dell'improvvisazione jazzistica meno scolastica, a immergersi in una fitta tessitura di rievocazioni e sottili citazioni. A parte quelle veloci note, scoperte, di Light my Fire dei Doors.
Forse proprio attraverso un'ossessiva ricerca di elementi fondatori, di indizi che smascherino le origini (spesso definite dai musicisti "omaggi" alla musica che hanno ascoltato e amato), le composizioni dei Thrangh emergono come un assemblaggio sovraccarico di stili e momenti paradossalmente originali.

Chiara F. (RockShock)

INTERVISTA AI THRANGH

Una mazzata fra capo e collo che seduce, abbandona, lacera, fermenta e incenerisce. Ma con grande stile e gradevole irriverenza. Inizierei col dire che la musica dei Thrangh mi appare pregna dell’atmosfera tipica degli incubi. Lo affermo perché ho provato ad ascoltarvi chiudendo gli occhi ed assecondando il libero flusso di coscienza che i suoni ispiravano. Il risultato è stato un’esperienza densa di paradossi, simboli, allegorie. Qual è il segreto per imbrigliare tutto questo nella musica?
(J) Se consideri che quasi la maggior parte dei brani nascono da improvvisazioni collettive, senza premeditazione alcuna, si può dire che l’evocatività della nostra musica sia una specie di coesione dell’inconscio di quattro menti. E’ normale che il frutto sia ricco di simboli e allegorie, dato che questo è il linguaggio dell’inconscio, sogni o incubi che siano.
Domanda di rito: quali sono le coordinate sonore che hanno in maggior misura influenzato la vostra attitudine compositiva?
(B) Oltre ad una comune passione per Zappa abbiamo ascolti molto diversificati, ma certamente gli artisti ai quali guardiamo con più ammirazione e che, probabilmente, ci hanno un po’ influenzato sono i “soliti rumorosi”: Zorn, Fantomas, Mr. Bungle...
(G) ... O.Coleman, Garbarek, Art Ensemble Of Chicago, Surman, James White, Sanders, Ayler ...
(B) ... Morricone, Ruins, Guapo, Sonic Youth, DNA, Glenn Branca, Slint, Primus ...
Un aspetto che personalmente ammiro molto dello stile Thrangh è il rapporto che ogni componente del gruppo ha col suo strumento. Mi riferisco al fatto che tutti e quattro dimostrate ottime doti tecniche ed al contempo un’attitudine iconoclasta, irriverente. Quindi mi domando se sovvertire le regole del “buon gusto”, piegando con l’intelligenza creativa le convenzioni musicali sia per voi un più un esercizio logico (e quindi studiato) oppure una naturale inclinazione alla schizofrenia (è un complimento)…?
(J) Credo che la seconda ipotesi sia senza dubbio la più attendibile.
Mi è capitato più di una volta di notare che le persone, per descrivervi alla buona, vi associno automaticamente agli Zu. Quanto condividete questo punto di vista? Vi fa piacere o vi da fastidio?
(J) Senza dubbio è un enorme piacere essere accostati ad un nome così importante, anche se non mi sembra di avere molto in comune con gli Zu, se non forse una certa attitudine punk, un certo compiacimento nel vedere un muro cadere a pezzi.
(G) Gli Zu spaccano il culo, noi al massimo lo graffiamo.
Quando avete suonato in occasione della serata di Novamuzique, sulla locandina, sotto il vostro nome c’era scritto “pulp music”. Come nasce questa curiosa definizione?
(J) Pulp, nel gergo filmico, è una miscela disordinata di elementi discostanti e dissimili fra loro, condita da una buona dose di violenza e di sfida all’istituzione scolastica. Una definizione del genere ci si addice di più rispetto a avant-rock, jazz-core, ecc.
(G) In effetti siamo spesso accostati a gruppi provenienti da diverse realtà e questo ci gratifica alquanto. Ovviamente il fatto di cercare di fondere diverse correnti musicali in un unico pezzo ha la sua giusta definizione con la parola “pulp”.
Premettendo che il vostro sound è a mio avviso perfetto così com’è, avete mai pensato a comporre dei brani cantati? E se questo succedesse che tipo di cantato dovremmo aspettarci?
(G) Niente parole, solo grida.
(B) All’inizio volevamo introdurre nella band una ragazza giapponese con voce aquilina che facesse live electronics... una specie di ibrido Ikue Mori/Diamanda Galas... non avendola trovata siamo stati costretti a diventare un gruppo strumentale. Ma non abbiamo perso la speranza!
Cosa pensate della scena underground romana? Esiste fra i musicisti capitolini una cultura di coesione e collaborazione oppure ci si deve scontrare ancora con arrivismo, inutili competizioni e gelosie da quattro soldi?
(J) Non credo si possa parlare di arrivismo in una scena in cui i soldi non girano, ho sempre conosciuto persone con una passione genuina per la musica e senza secondi fini. Questo favorisce di sicuro la coesione.
(B) Negli ultimi tempi il livello delle band in circolazione si è notevolmente alzato e credo si stia diffondendo una certa sensazione di aggregazione intorno ad un’idea comune di “scena capitolina”. In effetti, dopo anni di rassegnata mentalità provinciale (tribute bands, karaoke, piano bar, ecc...) ho l’impressione che Roma si sia “accorta” di essere una grande capitale europea in grado di produrre cultura. Va riconosciuto che gli Zu (una delle poche realtà musicali italiane che abbiano un’eco all’estero) rappresentano un forte traino in tal senso.
(G) Fortunatamente la scena e il pubblico sembra che siano in costante crescita. Direi, inoltre, che c'è molta coesione; infatti siamo amici e stimiamo molto i gruppi con cui abbiamo suonato finora: Squartet, Inferno, Nohay Bandatrio, Tikal, Dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta, Dada Swing...
Parlatemi dei vostri progetti futuri…e se volete, anche dei vostri progetti passati..
(G) Futuri: rinnovarci costantemente esplorando diverse realtà, mantenendo comunque il nostro approccio compositivo.
(B) Siamo tutti appassionati di cinema, e credo che la cosa che ci piacerebbe di più in assoluto sarebbe poter comporre una colonna sonora originale per un film. Avevamo anche pensato di realizzare un adattamento filmico della “Metamorfosi” di Kafka ma, in effetti, non abbiamo ancora nemmeno scritto la sceneggiatura.
Vi ringrazio del tempo che mi avete dedicato e spero di ripetere presto questa piacevole chiacchierata. Scrivete pure quello che vi passa per la testa.
(J) Erzefilish (Educazione=Sifilide).

P7 (NovaMuzique)

Il Castigo Esemplare
Recensione Demo
Negli ultimi tempi è praticamente impossibile girare per i concerti a Roma, senza imbattersi almeno una volta nei Thrangh. Anche nel caso in cui si decidesse di starsene sempre e solo al bar con le orecchie tappate e il cappotto abbottonato però, già vedendo i generi assolutamente agli antipodi di tutti gli altri gruppi con cui, di volta in volta, i nostri suonano (Dada Swing, Inferno, Melt banana, Cat claws, No Hay Banda…), potrebbe cominciare a insinuarsi un leggerissimo sospetto sul grado di ragguardevole eclettismo che caratterizza questa band basso-chitarra-sax-batteria-oriented.
Vi ammettiamo che, in parte, mal sopportiamo i forzati del crossover a tutti i costi e, volendo, pure a Mike Patton (nonostante i dischi da paura che ha fatto…) non è che gli si voglia troppo bene per tutti i mostriciattoli che è riuscito a portarsi dietro suonando il piffero magico… Non apprezzare i Thrangh dopo aver ascoltato il Castigo Esemplare però sarebbe troppo un esercizio da zappiani-snob in astinenza da Zorn. Tanto più, che specie dal vivo, i nostri dimostrano ogni volta e senza ombra di dubbio di essere quattro musicisti tecnicamente esemplari con un bagaglio di ascolti alle spalle praticamente sterminato, da cui riescono ad attingere con una forza e un tempismo ineccepibile. Grazie al loro tocco impeccabile, e a questo punto possiamo anche dirlo… ad un talento innegabile, per una volta non si ascolta noise-jazz-funk-metal-etc uno dopo l'altro in trenta secondi… ma noise-jazz-funk-metal-etc uno SOPRA l'altro in temi musicali sovrapposti e sempre organici. Non sono ignoranti e zozzi come gli immensi Zu, ma su questo pensiamo che incida anche la composizione degli strumentisti e una scelta generale di non-direzione musicale. In bocca al lupo.
La prossima volta ci si porta i soldi per il guardaroba.

Federico Vignali (Movimenta)

La notte della risacca atomica
Circolo degli Artisti 24/10/2005

Al quartetto onomatopeico romano il compito importante di aprire una serata - nelle previsioni -apocalittica. Dalla prima volta all'ex Sonica ad oggi il jazzcore dei nostri compagni di vita ha assunto caratteristiche precise ed una vitalità compositiva davvero invidiabile. Sax-chitarra-basso-batteria si fondono lucidi e serrati in una mezz'ora di assoluto terrorismo musicale dove si aprono vividi squarci di improvvisazione e manifesta (erudita) cultura musicale. Non c'è odore di noia, di snobbismo, di settorialità. C'è un'amalgama melodica spruzzata a mano tra uno spartito rigido ed algido allo stesso tempo. Il pubblico - che pian piano gremirà in ogni dove il Circolo - apprezza, si entusiasma ed applaude convinto. Onore ai conquistatori. La Citta è NUDA.

Emanuele Tamagnini (Nerds Attack!)

NOVAMUZIQUE NIGHT (18/10/2005)
Al Coetus Pub di via dei Volsci a Roma una seratina cult per palati sopraffini

I THRANGH (intervistati su questo stesso numero da p7), come già noto a molti seguaci dell'underground romano, sono vincitori dell'ultima edizione romana del Martelive, evento di "raccolta" di molti validi gruppi emergenti.
I Thrangh viaggiano a tremila su binari borderline. Borderline come lo erano i Naked City (tra jazz & hardcore) o come, spostandoci di dimensione, potevano esserlo gli italiani Perigeo (tra jazz & rock). Denominatore comune quindi il jazz… più freak che free. Gli inclassificabili ThRangh rappresentano un caleidioscopio senza tempo di espressioni affini, da funk a free jazz infetto da selvaggio hardcore.
La corposità del loro suono è sublime. Da inafferrabile a crepuscolare, il quartetto raggiunge anche muri di saturazione che celebrano l’idilliaco noise.
Ma qui siamo anche dalle parti degli storici GOD, per cupezza e ossessionata persistenza di alcuni giri (una capatina negli Inferi?), o in prossimità dei Painkiller, per stacchi frenetici, delirio improvvisato
e “compressione” espressiva (tra John Zorn e Milano Calibro ).
THRANGH è un combo romano di non professionisti che suonano da professionisti, un coacervo strumentale di “strutturata” devastazione sonora, un’ onda sonora anomala. La dimensione pub mi gratificava, l’atmosfera era autentica, interessata.
Dal vivo proprio una Esperienza Esemplare in cui, rispetto alle registrazioni (scaricabili anche dal loro sito www.thrangh.it), il suono si compatta e amalgama in un impasto sonoro inesorabile…
Strumentalità animale senza scrupoli. Ottimi!
“ Pulp music” è una definizione che non esiste ma che si adatta perfettamente al loro “mood”.

Antz (NovaMuzique)

INTERVISTA AI THRANGH, VINCITORI DEL MARTELIVE 2005
24/09/2005
Hanno vinto i Thrangh. Ha vinto il baccano degli inferi, la destrutturazione armonica di una creatività musicale distorta e per questo incredibilmente originale. Ha vinto una ventata di novità e di sperimentalismo, una concezione di musica che è vita perché freme di pulsioni umanissime verso un disordine voluto e, per paradosso, quasi preordinato. Ad immaginare un dialogo con questi individui sinistramente zappiani – o sarebbe meglio dire vanvlietiani – crederesti di trovarti di fronte a dei mostruosi fabbri di allucinazioni, a personificazioni di quadri di Picasso o a non so quale sorta di animali musicali degni di un bestiario medievale; la sorpresa più grande è invece conoscerli: affabili, un po’ timidi, disponibili al confronto e, soprattutto, non convenzionali, seppur cordialissimi. La filosofia che anima la loro produzione sembra rispecchiarsi, per contrappasso, nel loro atteggiamento. E allora si parla, si beve una birra e si fuma una sigaretta, in attesa che salgano su quel palco per rimescolare ancora un po’ gli elementi dell’universo musicale in un calderone di pazzia, disperazione e gioia malata.
Iniziamo dalle basi: da cosa deriva il nome "Thrangh"?
(Atreju) Nha Trangh è una città Vietnamita. Da cui Thrangh, una parola onomatopeica, come a dire botta, sprangata dietro al collo, tranvata, e via dicendo.
Quali sono le origini di un sound dissonante e saturo come il vostro?
(Atreju) Un milione di ascolti diversi: i miei principali Zorn, Coleman, Coltrane, Garbarek, Surman ,Art Ensamble Of Chicago, Zappa, Mr. Bungle...
(Bonanza) ...James White, Captain Beefheart, Glenn Branca, Fantomas, Zu...
L'affiatamento, l'amalgama dei vari componenti del gruppo è uno dei punti di forza del vostro sound. Mi avete parlato, la volta scorsa, dell'improvvisazione come un punto di forza, anche quando lavorate in studio. Che valore ha l'approccio al live set per voi?
(Bonanza) Il nostro approccio alla composizione è estemporaneo: in sala prove improvvisiamo liberamente e registriamo tutte le sessioni. Successivamente riascoltiamo e razionalizziamo la materia grezza e spontanea, selezioniamo frammenti e momenti particolari, cercando di riorganizzarli in un linguaggio più organico tramite un'operazione di cut-up.
Abbiamo parlato di frames e composizione delle jam in studio, nonché delle due "sezioni" del vostro lavoro (una più libera, l'altra più ripetitiva e caratterizzata da una struttura più "classica”): come funziona questo procedimento?
(Bonanza) Essendo una band strumentale senza ruoli solisti, quello che cerchiamo di ottenere suonando dal vivo è soprattutto l'impatto. Il live set è il momento in cui il procedimento compositivo giunge al suo epilogo, quando possiamo vomitare sul pubblico tutta la materia - smembrata e ricomposta - che è venuta fuori durante le prove.
La vostra produzione è supportata da un edificio "ideologico", da un modo di vivere che rispecchi il vostro modo di fare musica che vada oltre la valenza puramente catartica del "rito dionisiaco" che mettete in scena?
(Bonanza) A parte una comune sensibilità estetica, non c'è nessuna particolare retorica o contenuto ideologico in quello che facciamo, credo.
(Atreju) Assolutamente nessuna ideologia, solo l'idea (più o meno vana) di fare una musica che ci appartenga in assoluto.
Siete coscienti che sarà difficile riuscire a sfondare con un suono particolare come il vostro? In questo senso, credete ci sia una dicotomia inscindibile tra consenso sulla scena underground e consenso su larga scala?
(Jimbo) Abbiamo la fortuna di affrontare il nostro comune excursus musicale come una passione piuttosto che come un mestiere: questo oltre ad allontanarci dall'assumere come modello i diffusi vincoli di convenzione dell'approccio alla massa, ci consente di non porgerci proprio la domanda.
(Atreju) Il consenso, anche minimo, è quello che ti fa continuare, e noi siamo già molto orgogliosi di quello finora ricevuto. Non siamo comunque interessati a modellare la nostra musica per ottenerne di più, consapevoli della dicotomia di cui parli. Per quanto ci riguarda continueremo sempre a lavorare nello stesso modo, creando quello che abbiamo dentro, senza la ricerca di un modello già definito.
Quando ci siamo visti per la prima volta, abbiamo parlato del vostro approccio alla musica, definendolo - se la memoria non mi inganna - "dilettantistico", "disimpegnato" e "libero". Cosa intendete di preciso?
(Atreju) Non siamo professionisti, facciamo altri mestieri, e questo probabilmente è un altro punto di forza: nessuno di noi pensa di campare con la musica.
Avete mai pensato di “aprire” il vostro sound ad influenze elettroniche?
(Atreju) Non ci precludiamo nulla: l’esempio di mostri sacri come i Kraftwerk, o di certa avanguardia scandinava, ci affascina molto. In futuro, chissà…
La vostra opinione sul Peer to Peer.
(Atreju) Ottimo mezzo di informazione musicale: ho scaricato quasi tutto il catalogo di una nota etichetta oltre numerosi altri dischi, ma spendo anche molti soldi in album nuovi, ne avrò almeno 500. In sostanza credo che sia un buon mezzo contro quei musicisti che fanno solo show-business e sono avidi di denaro. A tal proposito vorrei portare l'esempio di Steve Coleman, uno tra i più grandi musicisti contemporanei, che sul suo sito mette in sharing almeno l'80% della sua produzione musicale.
I vostri progetti per il futuro.
(Atreju) Continuare a comporre nello stesso modo ma rinnovando continuamente la musica che facciamo.
(Jimbo) Rispettare la nostra umana predisposizione alla metamorfosi, sperando di evitare stasi o lunghe soste in cantiere.
Ebbene, la mostruosa farfalla sta per dispiegare di nuovo le ali. In attesa dell’ennesima metamorfosi, preparo gli occhi e le orecchie di novello Ovidio assaporando gli ultimi istanti di quiete prima della tempesta. Dopo sarà solo gioia d’essere, decostruzione fino all’ultima particella musicale. In buona sostanza, un ritratto fedele dell’universo. Ché probabilmente, e nonostante le apparenze del primo ascolto, la musica dei Thrangh è mimesis esaltante, fedele riproduzione del caos che è origine e fine ultimo di tutto.
Enrico Piciarelli (DNA Music)

THRANGH IL CASTIGO ESEMPLARE
Recensione Demo
C'è un interesse crescente intorno a questo gruppo romano, ragione per cui ospitiamo la recensione anche se non c'è traccia di doom, stoner, fuzz o di Gibson SG tra questi solchi. Ma del resto i confini di Perkele sono labili, aperti, e la buona musica non va mai sprecata.
Su Thrangh verrebbe d'istinto da pensare al termine jazzcore, se non fosse che il termine non ci comunica nulla e che non basta un sax nell'organico per fare jazz (cosi come non basterebbe una chitarra elettrica per fare rock). Diciamo piuttosto che i Thrangh fanno parte di quella schiera di persone interessate a mescolare jazz, rock, funk, fusion, senza confini - come prime movers quali Iceburn (qualcuno ricorda "Poetry of Fire"?) e Minutemen hanno saputo fare tra '80 e '90. Ma immaginiamo che i loro ideali riferimenti affondino ben più indietro nel tempo e nello spazio, probabilmente a quelle "Direzioni in Musica" dettate tra '69 e '75 dallo Sciamano Elettrico Davis.
Comunque sia, "Il castigo esemplare" è un disco sorprendente. Il gruppo è preparato, e probabilmente i pezzi sono frutto di una lunga gestazione. Registrato in una seduta dal vivo, il lavoro è un piccolo magma sonoro in 8/9 movimenti. Le tracce sono divise in realtà solo per convenzione, perché il percorso è unico. Difficile quindi mettere in evidenza singoli passaggi, si può piuttosto provare a tracciare qualche impressione. Basso e batteria descrivono una robustissima sezione ritmica, scandiscono tempi pari e dispari (più i secondi che i primi!), incessantemente. Sopra di essi si elevano chitarra e sax, utilizzati con controllo e intelligenza notevole. La prima è quanto mai versatile, passa da riff metal ad accordi funky, tracce di guitar-synth, settime aumentate (e diminuite). Il sax riempie gli spazi melodici tra i brani, assicurando continuità ed un timbro più personale al gruppo. In particolare menzioniamo la traccia 4/5, dove ad una intro arpeggiata seguono sax e guitar synth che disegnano una figura di ampio respiro: vero funky futuribile. La qualità della registrazione è ottima, agevolata peraltro dal tecnica non indifferente dei membri del gruppo. Ma i Thrangh sanno andare al di là della tecnica pura e, merito ben maggiore, sanno fondersi in un unicum senza solismi disperati. Feeling e disciplina sono quello che contano, soprattutto.
Le loro direttrici musicali? Diciamo un quadrilatero ai cui lati ritroviamo Coltrane, Zorn, Area e Mahavishnu Orchestra. Con le dovute proporzioni, sia chiaro. Il castigo esemplare, peraltro, è solo un punto d'inizio. E Thrangh una nuova realtà destinata a crescere (i consensi stanno arrivando, la rassegna MArteLive li ha già premiati). Menzione speciale per la citazione di Lautréamont in retrocopertina. Da questi, forse, i Thrangh hanno imparato l'arte della metamorfosi.

Sergio Aureliano Pizarro (Perkele.it)

 

THRANGH: IL CASTIGO ESEMPLARE!

Martelive 08/07/05
Neanche ti sei seduto e una raffica di colpi ti ha già steso.
E’ iniziato il concerto dei Thrangh, un delirio senza sosta.
Batteria, basso, chitarra e sassofono, 4 strumenti letteralmente violentati, fino a fondersi completamente l’ uno con l’altro, in una musica ostica, spigolosa, sempre nuova che tiene l’ascoltatore costantemente col fiato sospeso.
Questi quattro ragazzi sono entrati al MarteLive in punta di piedi, e ne escono vincitori.
Il loro avant-rock è miscela di progressive, crossover , free-jazz con forti echi di Crimsoniana memoria, che prende spunto da gruppi estremi come gli Zu e i Fantomas e che ha conquistato la giuria e, a sorpresa, anche il pubblico del MarteLive.
Non c’è voce ma solo un urlo disperato, di dolore e liberazione allo stesso tempo, a chiudere la loro unica, lunghissima canzone e a permettere al pubblico di richiudere la bocca e riprendere conoscenza.

Tommaso Armati (Musica MArteLive)

Come raggiungere la pace dei sensi attraverso il Rumore.

Martelive 08/06/05
Thrangh: un quartetto di schizzati composto da batteria, chitarra, sax e basso che esplodono letteralmente in un baccanale di suoni ed influenze mischiati in frames grandinanti. Visivamente eterogenei (ho istituito sul momento il premio “maglietta più inquietante dell’anno”, da assegnare al sassofonista honoris causa), i quattro fanno sul serio. Non c’è armonicità, non c’è melodia: ogni piccolo accenno di una struttura definita, che per intensità quasi potrebbe venire accostata ad un prog acido, viene puntualmente spazzato via dalle bordate sonore di un sax assassino ed isterico, di un basso scabroso e di una batteria belluina. C’è tanta roba qua dentro, forse più di quanta non immaginino neppure i Thrangh. C’è il Miles Davis epilettico di “On the Corner”; c’è la totale assenza di melodia delle sgrammaticature di un Captain Beefheart; la commistione tra suoni rozzi e primordiali dei Morphine. Caos, disarmonia: la gioia catartica del duello tra basso e batteria, durante la seconda parte dell’esibizione, è il manifesto del sound dei Thrangh. Un pastiche dionisiaco fatto di isteria frenetica, un urlo liberatorio e primordiale (proprio come quello che chiude l’esecuzione della lunga jam) che è figlio dell’improvvisazione e dell’unione di quattro differenti individualità, delle quali nessuna assume il ruolo di protagonista indiscusso. “Sister Ray” riveduta, arricchita, corretta e ancor più primitiva nella sua complessità. A pensarci bene, la totale assenza di assonanza ritmica è compensata dalla perfetta – perché non iscritta in canoni e stilemi di sorta – commistione tra i diversi talenti dei ragazzi: un equilibrio fragilissimo che non viene scalfito dalla verve animalesca che pervade l’esibizione tutta. Fantastici, mi lasciano scosso: stento a credere che non abbiano ancora inciso nulla. Barcollo verso l’uscita, mentre m’accorgo che l’intermezzo teatrale prevede una rappresentazione della meravigliosa Livella di decurtisiana memoria. Pare insomma che i Thrangh siano riusciti a risvegliare anche i morti, nonché a sconvolgere il clima globale scatenando un acquazzone storico – che tutto m’investe, visto che mi trova lì fuori ad attenderlo per la proverbiale paglia post esibizione.

Ancora debbo riprendermi: le tempie fanno male.

Enrico Piciarelli (DNA Music)

Welcome to the sonic temple...

Sonica, 06/05/05
Capitolo THRANGH.
Quando salgono sul palco gli avant-naive il pubblico è assai caldo e propenso al godimento auricolare. Chitarra-sax-basso-batteria compongono il quartetto, proveniente da esperienze di nicchia in ambito locale. L'amore per la sperimentazione avanguardista - uno spiccato senso musicale - un'amalgama invidiabile ed un fragoroso background metallico - compongono il puzzle dei Thrangh. Circa 45' di set senza sosta. Un viaggio da vivere tutto d'un fiato. Piace sicuramente di più la seconda parte. Appare molto fluida, sicura, varia e cerebrale. Perfetti nell'esecuzione, si distinguono anche loro per la quasi totale assenza di partecipazione con l'audience (che nel frattempo si è fatta scalmanata oltre modo e poco ricettiva - sarà colpa della flanella o di quel maledetto fumo lecito?). Un crescendo rossiniano che mette in luce quanto nell'ombra abbiano pesato gli amori per Zorn e Patton, ma che nulla tolgono alla capacità autorale e musicale dei nostri.
Tutti gli altri dovrebbero imparare da questo atipico venerdì sera.
In una città confinata ai margini, per colpa di scarso coraggio e scarsa competenza, questo 6 maggio dimostra come il Sonica, i Thrangh, i LPET e tutti quelli che hanno lavorato dietro le quinte, abbiano finalmente assestato un bel calcio su per il culo all'opulenza.


Emanuele Tamagnini (Nerds Attack!)